Associazione Culturale Pratese
Il Castello

Poesia, Narrativa, Pittura, Scultura e Fotografia a Prato. . .




foto artista

Emanuele Bettini

Poeta, Pittore

Su proposta di Silvana Santi Montini, l'Associazione "Il Castello" è lieta di accogliere in questo sito il Prof. Emanuele Bettini, socio onorario della stessa, dal 1998 fino alla sua scomparsa, avvenuta il 21 Novembre 2002.
Emanuele Bettini è nato il 20 Gennaio 1917.

Laureato in flosofia-pedagogia alla facoltà di Magistero dell'Università di Firenze.
Partecipa alla Seconda Guerra Mondiale come ufficiale dell'esercito, e poi con gli alleati nell'O.S.S. (Office of Strategic Service) dell‘VIII armata, come paracadutista.

Ha collaborato alla terza pagina dei quotidiani:
"Il Nuovo Corriere" di Firenze, diretto da Romano Bilenchi;
"L'unità"; "La Gazzetta di Prato";

a varie riviste come:
"Prato Storia e Arte";
"Archivio Storico Pratese";
"Crocevia", Prato;
"Il Portolano", Firenze;

Docente di lettere nella scuola media, educatore e intellettuale impegnato.
Scrittore e pittore di alta e superiore qualità, sia umana che artistica.
Fra le opere di poesia e narrativa figurano:
"Il canto dell'orcio odoroso", pubblicato con lo pseudonimo di Manuel D‘Assisi;
"Città di notte", Ed. Il Pergamo, 1970 con la prefazione di Giorgio Barbéri Squarotti;
"Viaggio a Roma" 1966;
"Lutto in rione“ Ed. Il Pergamo 1969;
"Il direttore delle poste" 1976;
"La Battitura" 1984;
"Il Plagio“ Edizione del Leone, 1988, l'opera compare raramente nelle sue bibliografie;
"Vernissage e altri racconti" Polistampa Fi. 1999;
"Il cane rosso" Giunti 2001.

Molto interessanti sono le monografie, testimonianze condotte su artisti popolari e personaggi caratteristici della città, quali:
Ugo Cantini, Giuseppe Basacci, Egidio Bellandi, Mario Andreini, Dino Fiorelli.

Oltre alla testimonianza della sua conoscenza di Giacomo Balla.
Piccoli scrigni della memoria tramandati dalla sua penna con intelligenza ed originale sensibilità, dimostrandosi ancora una volta uomo con una grande anima, delicato e sensibile.


Da vario tempo ormai sono capaci di fare solo quadri astratti, informali, decorativi: nessuna allegoria, nessuna idea, nessun collegamento anche sottile con la realtà. I miei lavori ora sono solamente chiazze di colore variegate di segni, puntini, spirali, grovigli, fregacci, scarabocchi sgrondi sgorbi. Il pennello aggredisce lo spazio bianco, ci girovaga sopra a casaccio, senza nessun progetto, traccia linee rette o curve rabbiosamente, senza ritegno, semicerchi rotelline intarsi tasselli geroglifici. Forse il mio pennello si muove ora per forza d'inerzia, dopo i tanti anni di esercizio ha acquisito una sua autonomia, aldilà di ogni controllo mentale. Mi accanisco così sulla superficie dei miei cartoni, con i miei pochi colori, senza remore, in gran fretta, fino a che la "pagina" non mi appaia musicale, armoniosoa, stilmoante, in qualche modo, nel suo complesso.
Qui mi fermo.

Ormai ogni sorta di soggetto intellegibile, anche se deformato e interpretato secondo le estrosità della fantasia e della mia filosofia. I miei prediletti "sposalizi" o le mie folle di "paradossali personaggi" o i miei cari "amanti in volo", non sono più capace di realizzarli. Se delle volte mi capita di intravederli sagomati nell'anarchia dei segni, i spiccio a cancellarli. Non ne tollero più la visione. Forse perché ne ho costruiti troppi. L'ironia il grottesco l'amore l'odio la collera che mi accendevano e ci mettevo dentro sono ormai elementi inariditi dal tempo, consunti dall'uso, perduti definitivamente lungo il cammino. Ciò che si è amato o sofferto non è possibile portarselo dietro per sempre. È un capitolo chiuso. Come un libro già scritto, anche se lo hai fabbricato con tutto il tuo sangue, non solo sarebbe assurdo riscriverlo, ma ti angustia anche la sua rilettura.

Dunque non più racconti polemici satirici sarcastici, spettacoli farseschi del nostro vivere sociale, che tanto prima mi affascinavano, o abbandoni onirici o lirici. Niente di tutto questo. In tal senso ho lavorato ormai abbastanza, la mia vena si è esaurita, non ho più contestazioni da fare. Non ho più idee, meditazioni, niente da comunicare, da dire o da gridare.
Mi sono rimasti a confortarmi questi miseri segni privi di senso, questi quattro o cinque colori che uso a caso, in "astrazione pura", come dicono gli "esperti", cio&eavute; baraonda arbitrio schizofrenia imbrattatura casino. Non so fino a quando. Forse nello spazio bianco del cartone scriverò poche ultime tracce, poi solo tre o quattro macchie, una nera una gialla una rossa, poi un'unica macchia grigia o nera, nel centro. Poi più nulla. Un cartone totalmente bianco sul mio cavalletto, là nell'angolo dello studio. Ciò conluderà la mia breve vicenda di uomo.

"Fabbrico quadri astratti" di Emanuele Bettini

Opere

  • Gli applauditori
  • Il comizio
  • Fidanzati